martedì 31 marzo 2015

Oggi bevo: Grave di Stecca 2010 - Nino Franco, o dell'eccezione

Computer nuovo, vita nuova. O post nuovi, vedete voi.
Fino ad oggi ho sempre avuto una certa avversione al prosecco. L'ho sempre ritenuto un vino minore - organoletticamente parlando - che salvo poche volte mi ha riservato belle sorprese.
Qualche sur lie magari, ma ultimamente anche loro non mi vanno a genio.
Non ho un buon rapporto con i residui zuccherini che in Valdobbiadene imperano sovrani ne apprezzo quei profumi sbarazzini tutto frutto che, gusto personale, ovvio, tanto piacciono e hanno fatto - e tutt'ora fanno - la fortuna del prosecco.
Ci sta, questione di gusti.
Poco tempo fa ho comprato dietro consiglio del bottegaio due bottiglie del Grave di Stecca 2010 di Nino Franco. Compra, diceva sorridente.
E contro ogni pronostico ho comprato.
Mi incuriosiva il fatto che fosse così "vecchio", adesso è fuori il 2011 per capirci. Stiamo sempre parlando di un prosecco, no? Vini che spesso escono in commercio prima ancora che sia arrivato il capodanno...
Il Grave di Stecca è il frutto della vinificazione molto tradizionale di un "clos" a tutti gli effetti. Un singolo vigneto circondato da muretti a secco che regala poche bottiglie. Sette mesi sulla feccia grossa dove il vino mangia - niente travasi - prima della presa di spuma in autoclave.
Gran bottiglia: il naso è profondo, sfaccettato e ampio. Frutto giallo, sale e minerali a corredo creano un concerto che col prosecco ha poco a che fare.
Infatti non è un prosecco. E' glera ma non prosecco.
E' un vino spumante brut. La commissione per l'attribuzione della doc - molto attenta - lo ha sempre ritenuto troppo diverso e quindi bocciato. Dal 2009 in azienda nemmeno ci provano più. Amen.
Ha sorso potente e ricco, bolla di gran classe, finissima e soffice. Lunghezza inequivocabile.
Che dire, provare per credere. L'esperienza costa su per giù una ventina di euri.
Decisamente vale il prezzo del biglietto.