martedì 20 marzo 2012

Oggi bevo: Nebbiolo, con la N maiuscola

Che la passione per il vino sia una figata è, almeno per me, cosa assodata. Ad esempio noi siamo riusciti a creare un gruppo di sei/sette persone che vanno dai 28 ai 70 anni e che riescono, grazie alla suddetta passione, a dar vita a cose come la cena, l'ennesima, fatta sabato scorso.
Ognuno ha messo del suo a partire dalle delizie culinarie fino alle bottiglie. Siamo riusciti a stapparne 9, altre son rimaste li, destinate a futuri gozzovigli.
Abbiamo bevuto bene, altro che.
Il tema centrale della cena è stato sua maestà il Nebbiolo. Uva dalla quale arrivano indiscutibilmente tra i più grandi vini d'Italia e quindi del mondo (un po' di sano nazionalismo enoico qui ci sta a pennello!).
E giusto per essere coerenti la prima bottiglia stappata è stato un golosissimo Gardet SA, Champagne dal prezzo popolare ma dalla beva irresistibile, soprattutto dopo un paio d'anni in bottiglia.
La bottiglia successiva aveva anche lei la bollicina, però era decisamente in tema: nebbiolo di Langa spumantizzato seguendo rigorosamente il metodo classico. Si chiama Epacrife, il millesimo di riferimento è il 2007 e la boccia ha riscosso un discreto successo. L'unico appunto è stato fatto rilevando un attacco in bocca piuttosto in sordina che si riscattava avanzando con un sorso rigoroso, sapido, fresco e ben secco. Il suo forte però era un naso di bella intensità e fragranza (anche un po' ruffiano) che, per tutto il tempo in cui è rimasto nel bicchiere (non molto, a dire il vero) non è calato un attimo.
Poi è venuto il turno dei Barbaresco. E qui abbiamo messo sul tavolo una sequenza di tre bottiglie di diversa impostazione ma di alto valore: Martinenga 2006 dei Marchesi di Gresy, Pajè 2003 di Roagna e il Bricco 2004 di Pio Cesare.
Il primo è buono senza se e senza ma. Classico nell'impostazione arriva da un'annata di sicuro valore, fa dell'eleganza la sua caratteristica principale. Il Pajè di Roagna ha fatto discutere: sicuramente è quello con più carattere, figlio di una vendemmia difficile e vinificato con metodi quasi ancestrali che prevedono ad esempio una macerazione prossima ai 100 giorni. Il naso forse segnato da una volatile sopra le righe, molto agrumato e da un sorso di alto rigore, dove acidità e tannino hanno messo in luce la vera struttura del vino. A me è piaciuto molto, un vino senza compromessi. Il Bricco di Pio Cesare ha sicuramente ottima materia. Il problema, IMHO, è il legno (rigorosamente piccolo) che copre le sfumature, arrotonda gli spigoli e fa incazzare i tannini. Muscoloso, per gli amanti dei '90.
Vennero poi gli outsider: Carema 2004 etichetta nera di Ferrando: due anni di barrique e non sentirli, buono davvero. Canua 1997 Conti Setoli Salis: io non sono un amante dello Sforzato, secondo me la Valtellina si esprime al meglio con le vinificazioni classiche ma questa bottiglia era puro velluto. Etereo, elegante, setoso ed avvolgente. Il '97 è stata l'annata del secolo per qualche anno, qui ci ha messo del suo. Per ultimo l'AD delle cantine Doria di Montalto, questo outsider sul serio: arriva da Montalto Pavese in Oltrepo. Non è male, anzi, il confronto con i piemontesi non regge ma non facciamogliene una colpa, era prevedibile ed è comprensibile.
Detto questo taglio corto e passo a ringraziare tutta la truppa dei disgraziati, con menzione d'onore a Riccardo, ospite delizioso.

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