Aaaahh... Il nebbiolo, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
Mettici poi che mia mamma ha preparato un brasato con la polenta a dir poco strepitoso e il gioco è fatto.
La scelta è caduta su un Gattinara, precisamente sul Gattinara di Luca Caligaris annata 2005.
Piccola azienda a conduzione familiare, 2.5 ettari vitati, 3500 bottiglie di Gattinara affinato in legni da 25 hl per tre anni.
Un Gattinara tradizionale che profuma di agrumi, fiori secchi e radice di liquirizia, bocca nervosa, fresca e agrumata, dalla bella trama tannica che sottolinea la propensione all'invecchiamento di questo nebbiolo.
Un Gattinara senza effetti speciali, non un mostro di complessità ma vivo e grintoso, insomma, buono.
mercoledì 31 ottobre 2012
martedì 30 ottobre 2012
Oggi bevo: Uva Tosca di San Rocco vino frizzante dell'Emilia - Terre d'Este (Luigi Boni)
Nonno Palmo una volta mi ha detto: per bere il vino di Pavullo bisogna essere in tre: due che tengono il terzo che beve.
L'uva tosca era un'uva molto comune da quelle parti, proprio per il suo adattarsi bene all'alta collina. Certo i risultati non erano indimenticabili, vini bruschi, acerbi e scontrosi. Oggi viene utilizzata soprattutto in uvaggio con altri vitigni per dare freschezza e sapidità.
Ma rimane un'uva tipica e tradizionale del Frignano e Luigi Boni ha pensato di ridarle dignità vinificandola in purezza.
Rifermentazione in bottiglia e tappo a corona, disponibile anche in versione degorgiata.
Va da sé che ho scelto la prima.
Il risultato è un non-lambrusco rosa corallo (puoi lasciare il vino sulle bucce due settimane, il colore non cambia) di grande lucentezza. Spumeggia nel calice che è un piacere vederlo. Naso minimal di fruttini rossi (ribes e lampone) e sorso segnato da una grande freschezza, enfatizzata dalla carbonica copiosa.
Gastronomico, goloso e genuinamente emiliano.
L'uva tosca era un'uva molto comune da quelle parti, proprio per il suo adattarsi bene all'alta collina. Certo i risultati non erano indimenticabili, vini bruschi, acerbi e scontrosi. Oggi viene utilizzata soprattutto in uvaggio con altri vitigni per dare freschezza e sapidità.
Ma rimane un'uva tipica e tradizionale del Frignano e Luigi Boni ha pensato di ridarle dignità vinificandola in purezza.
Rifermentazione in bottiglia e tappo a corona, disponibile anche in versione degorgiata.
Va da sé che ho scelto la prima.
Il risultato è un non-lambrusco rosa corallo (puoi lasciare il vino sulle bucce due settimane, il colore non cambia) di grande lucentezza. Spumeggia nel calice che è un piacere vederlo. Naso minimal di fruttini rossi (ribes e lampone) e sorso segnato da una grande freschezza, enfatizzata dalla carbonica copiosa.
Gastronomico, goloso e genuinamente emiliano.
giovedì 25 ottobre 2012
Oggi bevo: Colli Tortonesi DOC Timorasso Derthona 2008 - Claudio Mariotto
Recentemente ho stappato qualche bottiglia di timorasso che, me ne sto convincendo sempre più, è un'uva stratosferica.
Non che tutti i timorasso-vino siano indimenticabili, ma le potenzialità ci sono, eccome. Ultima conferma è stato il Derthona 2008 di Claudio Mariotto che ho stappato sabato insieme al 2008 di Cantine Volpi (che mi ha lasciato decisamente tiepido) e ad un altro di cui colpevolmente non ricordo il nome, di buona fattura che però scontava la giovane età (2010).
Tornando al nostro protagonista posso dire che sfoggiava un naso mineralissimo e maturo di kerosene e frutta gialla davvero intrigante, e il sorso non era da meno: struttura e acidità, morbidezza e bevibilità.
E con una banconota da 10€ lo porti a casa.
Non che tutti i timorasso-vino siano indimenticabili, ma le potenzialità ci sono, eccome. Ultima conferma è stato il Derthona 2008 di Claudio Mariotto che ho stappato sabato insieme al 2008 di Cantine Volpi (che mi ha lasciato decisamente tiepido) e ad un altro di cui colpevolmente non ricordo il nome, di buona fattura che però scontava la giovane età (2010).
Tornando al nostro protagonista posso dire che sfoggiava un naso mineralissimo e maturo di kerosene e frutta gialla davvero intrigante, e il sorso non era da meno: struttura e acidità, morbidezza e bevibilità.
E con una banconota da 10€ lo porti a casa.
giovedì 11 ottobre 2012
Oggi bevo: cabernet sauvignon
Cena informale, Riccardo ai fornelli: stuzzichini vari, pasta e fagioli e stinco di prosciutto.
Da bere cabernet sauvignon: quattro etichette debitamente stagnolate e proposte due per volta.
Niente appunti scritti (strano...), solo chiacchiere tra amici.
Il primo vino è scuro e cupo, compatto, giusto l'unghia tira al rubino. Tanta roba. Al naso niente, completamente muto. Con un po' d'ossigeno inizia ad aprirsi su toni di frutta nera, leggero vegetale. Fa fatica a spiegarsi ma sembra nascondere una grande materia ancora compressa.
In bocca è potente, concentrato e molto gustoso anche se di non semplice approccio, nonostante la materia si beve molto bene, buona freschezza e buon equilibrio.
Il secondo è decisamente meno concentrato (cromaticamente) e con un naso dal frutto ammiccante, molto cicliegioso e dolce.
Il sorso è più snello (filtrato) e glicerico. Morbido, levigato.
Il terzo vino è anche lui molto scuro e concentrato, al naso esplode frutta nera, anche in confettura, spezie e fresche sfumature vegetali e un fighissimo accento minerale, gran carattere.
Sorso vivo, potente e largo ma tutt'altro che stancante, ricco di sapore. Equilibrio eccellente.
Il quarto vino gioca sulla linea del secondo: un frutto più fresco e dolce, leggera vaniglia. Bocca di bel volume ma priva della materia del numero tre. Ben fatto sicuramente ma poca personalità.
Ecco la classifica:
1° classificato il vino n.3: Alessandro 2007 Prov. di Pavia IGT - Stefano Milanesi
2° classificato il vino n.1: Prima Luce 2008 Colli di Faenza rosso DOC - Costa Archi
3° classificato il vino n.2: AA Cabernet Sauvignon Riserva 2009 Puntay - Erste + Neue
4° classificato il vino n.4: AA Cabernet Mumelter Riserva 2009 - Cantina di Bolzano
Tutte e quattro belle bottiglie senza dubbio. Ma i vini artigianali di Stefano Milanesi e Gabriele Succi si staccano nettamente dagli altri due. Sicuramente sono interpretazioni più muscolose e personali, ma riescono ad esprimere un'energia che gli altri due semplicemente non hanno.
Da bere cabernet sauvignon: quattro etichette debitamente stagnolate e proposte due per volta.
Niente appunti scritti (strano...), solo chiacchiere tra amici.
Il primo vino è scuro e cupo, compatto, giusto l'unghia tira al rubino. Tanta roba. Al naso niente, completamente muto. Con un po' d'ossigeno inizia ad aprirsi su toni di frutta nera, leggero vegetale. Fa fatica a spiegarsi ma sembra nascondere una grande materia ancora compressa.
In bocca è potente, concentrato e molto gustoso anche se di non semplice approccio, nonostante la materia si beve molto bene, buona freschezza e buon equilibrio.
Il secondo è decisamente meno concentrato (cromaticamente) e con un naso dal frutto ammiccante, molto cicliegioso e dolce.
Il sorso è più snello (filtrato) e glicerico. Morbido, levigato.
Il terzo vino è anche lui molto scuro e concentrato, al naso esplode frutta nera, anche in confettura, spezie e fresche sfumature vegetali e un fighissimo accento minerale, gran carattere.
Sorso vivo, potente e largo ma tutt'altro che stancante, ricco di sapore. Equilibrio eccellente.
Il quarto vino gioca sulla linea del secondo: un frutto più fresco e dolce, leggera vaniglia. Bocca di bel volume ma priva della materia del numero tre. Ben fatto sicuramente ma poca personalità.
Ecco la classifica:
1° classificato il vino n.3: Alessandro 2007 Prov. di Pavia IGT - Stefano Milanesi
2° classificato il vino n.1: Prima Luce 2008 Colli di Faenza rosso DOC - Costa Archi
3° classificato il vino n.2: AA Cabernet Sauvignon Riserva 2009 Puntay - Erste + Neue
4° classificato il vino n.4: AA Cabernet Mumelter Riserva 2009 - Cantina di Bolzano
Tutte e quattro belle bottiglie senza dubbio. Ma i vini artigianali di Stefano Milanesi e Gabriele Succi si staccano nettamente dagli altri due. Sicuramente sono interpretazioni più muscolose e personali, ma riescono ad esprimere un'energia che gli altri due semplicemente non hanno.
lunedì 8 ottobre 2012
sabato 6 ottobre 2012
Oggi cucino: calamarata con le coste
E' la prima volta che scrivo una ricetta sul blog, d'altro canto il blog è mio quindi non vedo perché no.
La ragione è semplice: oggi non ho dormito una mazza, sono uscito all'ora dell'aperitivo e ho bevuto un gin tonic di pregio, e da Gatullo il gin non lo risparmiano.
Quindi sotto l'effetto del gin ho invitato a cena Ricky e ho preparato la pasta che da il titolo al post.
Bene, il risultato è stato meglio di quanto sperassi.
Per due persone:
coste, peperoncino, aglio, olio, acciughe, olive kalamata, calamarata (una specie di mezzi paccheri) e pecorino.
Lessate le coste raccolte amorevolmente dall'orto della mamma e ripassatele in padella con aglio, olio (evo, non devo specificarlo vero?) e peperoncino.
Frullare col minipimer aggiungendo un po' d'acqua fino a formare una crema e mettere da parte al caldo.
Nel frattempo mettete a cuocere tre etti di calamarata, io ho usato quella della linea Top di Esselunga che è davvero figa (Caprotti ringrazia).
Tre etti perché a cena c'era Riccardo, normalmente due bastano e avanzano. Anzi no, non avanzano.
Mentre la pasta è in cottura (e quella di Esselunga dice 20 minuti...) fate soffriggere due spicchi d'aglio, tre peperoncini (secchi) e una manciata di olive kalamata opportunamente private del nocciolo e almeno tre filetti di acciughe a testa in una padella.
Fate un letto di crema di coste sul piatto e metteteci sopra la pasta che avrete fatto saltare nel soffitto di acciughe e olive mantecandola con un po' di acqua di cottura.
Sul piatto aggiungete una spolvertata di pecorino sardo a mezza stagionatura che ci sta.
Cosa abbiamo bevuto?
Helga 2009 igt: pinot nero (Oltrepo' pavese) in versione easy di Stefano Milanesi. Due giorni sulle bucce e solo cemento. Delizioso (e tutt'altro che scontato).
C'entra na mazza col piatto, ma chi se ne frega alla fine...
La ragione è semplice: oggi non ho dormito una mazza, sono uscito all'ora dell'aperitivo e ho bevuto un gin tonic di pregio, e da Gatullo il gin non lo risparmiano.
Quindi sotto l'effetto del gin ho invitato a cena Ricky e ho preparato la pasta che da il titolo al post.
Bene, il risultato è stato meglio di quanto sperassi.
Per due persone:
coste, peperoncino, aglio, olio, acciughe, olive kalamata, calamarata (una specie di mezzi paccheri) e pecorino.
Lessate le coste raccolte amorevolmente dall'orto della mamma e ripassatele in padella con aglio, olio (evo, non devo specificarlo vero?) e peperoncino.
Frullare col minipimer aggiungendo un po' d'acqua fino a formare una crema e mettere da parte al caldo.
Nel frattempo mettete a cuocere tre etti di calamarata, io ho usato quella della linea Top di Esselunga che è davvero figa (Caprotti ringrazia).
Tre etti perché a cena c'era Riccardo, normalmente due bastano e avanzano. Anzi no, non avanzano.
Mentre la pasta è in cottura (e quella di Esselunga dice 20 minuti...) fate soffriggere due spicchi d'aglio, tre peperoncini (secchi) e una manciata di olive kalamata opportunamente private del nocciolo e almeno tre filetti di acciughe a testa in una padella.
Fate un letto di crema di coste sul piatto e metteteci sopra la pasta che avrete fatto saltare nel soffitto di acciughe e olive mantecandola con un po' di acqua di cottura.
Sul piatto aggiungete una spolvertata di pecorino sardo a mezza stagionatura che ci sta.
Cosa abbiamo bevuto?
Helga 2009 igt: pinot nero (Oltrepo' pavese) in versione easy di Stefano Milanesi. Due giorni sulle bucce e solo cemento. Delizioso (e tutt'altro che scontato).
C'entra na mazza col piatto, ma chi se ne frega alla fine...
martedì 2 ottobre 2012
Oggi bevo: Leclisse 2011 Lambrusco di Sorbara doc - Paltrinieri
Qualcuno ha detto che un lambrusco non potrà mai essere un grande vino.
Probabilmente ha ragione, c'è poco da fare.
Certo è che se un lambrusco non può essere grande sicuramente può essere buono, e questa bottiglia ne è un esempio lampante.
Lambrusco di Sorbara in versione deluxe, Leclisse è l'etichetta di punta di Paltrinieri, che finora conoscevo solo per il più scorbutico Radice.
Charmat lungo, solo mosto fiore. Rosa che più rosa non si può, spumeggia e scalpita nel calice.
Naso di fruttini frizzante e composto, preludio di un sorso fresco e sapido, di un certo spessore e perfettamente coerente (con i profumi). Un filo di residuo zuccherino lo ingentilisce in maniera discreta ed elegante.
Io gli preferisco il Radice ma questo non può non piacere. Davvero.
Probabilmente ha ragione, c'è poco da fare.
Certo è che se un lambrusco non può essere grande sicuramente può essere buono, e questa bottiglia ne è un esempio lampante.
Lambrusco di Sorbara in versione deluxe, Leclisse è l'etichetta di punta di Paltrinieri, che finora conoscevo solo per il più scorbutico Radice.
Charmat lungo, solo mosto fiore. Rosa che più rosa non si può, spumeggia e scalpita nel calice.
Naso di fruttini frizzante e composto, preludio di un sorso fresco e sapido, di un certo spessore e perfettamente coerente (con i profumi). Un filo di residuo zuccherino lo ingentilisce in maniera discreta ed elegante.
Io gli preferisco il Radice ma questo non può non piacere. Davvero.






